venerdì 20 aprile 2012

BENZINA: OLTRE LE TASSE C’E’ DI PIU’

DAL PETROLIO RIFIUTATO AL PETROLIO REGALATO, PASSANDO PER l'IMMANCABILE FINANZA 

Mentre continua il salasso petrolifero che sta portando i cittadini ad andare a fare benzina con il laccio emostatico e, le aziende ad esborsi che le rendono sempre meno competitive rispetto alle aziende straniere, sono passate quasi inosservate le recenti dichiarazioni del Ministro del petrolio saudita Al Naimi: “Oggi, e già da qualche tempo, l’offerta di greggio supera la domanda di almeno un milione di barili al giorno”, “Vi assicuro che non c’è alcuna carenza” ha insistito il ministro” ed ancora “Fidatevi della Saudi Aramco (1). Se ordinate 12,5 mbg (milioni di barili al giorno), vi saranno consegnati. Ma quando chiediamo ai clienti se hanno bisogno di più petrolio la risposta è invariabilmente no grazie”, “…c’è un sacco di offerta. E la domanda che non sta certo tirando”(2); se è vero che il prezzo della benzina in Italia è altissimo per via di una spaventosa tassazione il cui ricavato viene per lo più sperperato da una delle peggiori classi dirigenti che la storia d’Italia, e forse dell’intero pianeta, abbia mai conosciuto, è anche vero che si trascura il meccanismo di formazione del prezzo del petrolio stesso.
Non è la prima volta che in ambito petrolifero si verificano “anomalie” del genere descritto da Al Naimi; si va dai tentativi fatti per convincere Enrico Mattei ad accordarsi con le “sette sorelle” per stabilire assieme un certo prezzo del petrolio per l’Italia sì da poter guadagnare tutti di più, fino al fenomeno delle petroliere che non scaricano il petrolio dei tempi recenti.

Nel gennaio 2009, mentre l’Italia e l’Europa rischiavano di restare senza gas e petrolio russi, c’erano 80 milioni di barili di greggio che non venivano scaricati dalle petroliere che lo trasportavano, in attesa che il prezzo salisse; con una modica cifra si può tenere una superpetroliera a spasso per un mese per guadagnare sul contemporaneo aumento della quotazione e, ad utilizzare le superpetroliere sono sempre di più banche ed altri intermediari che speculando, aumentano i loro utili danneggiando l’economia reale, dall’industria ai servizi, dalle fabbriche ai trasporti, che per non chiudere, dovranno alzare i prezzi dei loro prodotti e/o tagliare i salari a discapito di lavoratori e consumatori e dei cittadini in generale (3).

Il giochetto rende bene, basta fare l’esempio di alcune petroliere che ferme al largo delle coste britanniche per due mesi, hanno visto salire il valore del greggio stivato da 313 a 378 milioni di sterline determinando così un profitto del 21% senza fare nulla (4) ma sicuramente c’è chi ha fatto di meglio perché a tra il febbraio ed il maggio dello stesso anno, il prezzo del greggio salì da 40 a 65 dollari (appena appena il 61%.), rincari che portarono il già ex ministro dell’economia (e rappresentante per l’Italia della banca d’affari Morgan Stanley) Domenico Siniscalco, a parlare di speculazione e del ritorno dei famigerati “derivati”(5).

I derivati sono contratti o titoli il cui prezzo si basa sul valore di mercato di uno o più beni (nella fattispecie, il petrolio), si parla quindi di “finanza” perché il prezzo del petrolio si basa sui “futures”,che sono contratti a termine standardizzati per poter essere negoziati facilmente in borsa, ciascuno del valore di 1.000 barili; si tratta di opzioni virtuali di acquisto che spesso non vengono nemmeno messe in pratica perché si scambia molto più petrolio di quello realmente estratto ma, si badi bene, non ci si riferisce a tutto il petrolio estratto nel mondo ma, al petrolio estratto in Texas e a quello del Mare del nord; il prezzo stabilito per questi viene poi fatto valere per tutto il resto della produzione mondiale. Nel caso del petrolio texano il mercato di riferimento è il Nymex (New York Mercantile Exchange) mentre il Brend europeo è scambiato presso l’Ice (IntercontinentalExchange); per poter accedere a tali mercati, sono richieste particolari caratteristiche ed investimenti minimi talmente elevati da precludere l’accesso ai piccoli risparmiatori riservando così tale mercato a compagnie petrolifere, grandi banche d’affari e produttori di energia.

Con l’avvento di strumenti finanziari come gli Etf (Exchange Traded Fund), gli Etc (Exchange Traded Commodities) o i Certificate, alcuni emittenti hanno creato delle società veicolo che investono in materie prime (ma anche su azioni e altri prodotti finanziari) e le cui quote sono contrattate come normali azioni con caratteristiche di taglio e liquidità del tutto simili ai tradizionali mercati azionari; ciò ha però “generato dei fattori distorsivi macroeconomici notevoli. Secondo diverse stime il volume delle speculazioni su prodotti come il petrolio supera oggi di dieci volte il valore effettivo del petrolio in circolazione” aumentando il pericolo di bolle speculative e di conseguenza i rischi per i piccoli investitori; se da un lato le continue oscillazioni, anche artificiose (per via della speculazione e della domanda distorta) dei mercati del petrolio e quindi delle industrie ad esso collegato hanno favorito utili molto alti, per altri versi hanno danneggiato le imprese che se ne servono con conseguenti effetti negativi su tutta l’economia reale (7); così tra vendite allo scoperto, HFT (High Frequency Trading, letteralmente transazioni ad alta frequenza) meglio noto come “flash trading”, trust, e compagnia bella, il prezzo di CDS, del petrolio, e di altre materie prime come il grano salgono (di continuo) e scendono (ogni tanto), le aziende chiudono, gli stati vanno i default e la gente finisce per strada o meglio ancora, muore letteralmente di fame, come nel caso della speculazione sul grano e su altri alimenti.

I fatti danno così ragione ad Enrico Mattei, promotore di rapporti diretti tra produttori e consumatori di petrolio; egli può e deve essere considerato e ricordato come “Uomo di Stato” con il “Senso dello Stato” e per questo, era inviso all’estero da taluni centri di potere che magari oggi lodano certi attuali esponenti della vita pubblica del nostro Paese che, va ricordato, è anch’esso produttore di petrolio.

La produzione italiana è concentrata in Basilicata, dove si estrae l’80% della produzione nazionale (l’equivalente del 6% del fabbisogno nazionale) per un valore potenziale di 70 miliardi di euro annui; per poter sfruttare tale petrolio, le compagnie petrolifere fino al 2009 pagavano un’aliquota del 7% sul valore dei barili prodotti contro l’85% che riceve l’Indonesia e la Libia (almeno prima della sua “liberazione”), l’80% di Russia e Norvegia, il 60% dell’Alaska, il 50% del Canada ed il 45% di Kazakistan e Nigeria (8); con la legge n.99 del 23 luglio 2009 l’aliquota è salita dal 7% al 10% (9); oltre ai giacimenti di petrolio, l’Italia dispone anche di giacimenti di gas naturale che nel 2009 coprivano il 15% del fabbisogno nazionale. 

Gli appetiti stranieri per le risorse italiane, non sono certo una novità; nel 1955 ad esempio, a seguito della scoperta di giacimenti petroliferi in Italia, “l’ambasciatrice americana Clara Booth Luce, dietro le quinte premeva affinché una grande compagnia del suo paese ottenesse in concessione buona parte della Valle Padana e perché l’Italia adottasse una legge petrolifera di tipo coloniale, simile a quella libica del re Idriz, nettamente favorevole alle compagnie” (10).

Chi sa come mai, ogni qualvolta qualche governo decide di nazionalizzare i giacimenti e le società petrolifere nazionali, all’estero vengono additati dittatori, come repubbliche delle banane mentre coloro che privatizzano, svendono e regalano le risorse nazionali ricevono sempre elogi e grandi onori.




 Fonti:
(1)   È la società petrolifera saudita controllata al 100% dal governo saudita
(2)   Il Sole 24 Ore, 21 marzo 2012
(3)   Corriere della Sera, 15 gennaio 2009
(4)    CG – gestoricarburanti.it, 19 novembre 2009
(5)   Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2009
(6)   Panorama Economy, 7 settembre 2005
(7)   Borsaitaliana.it – L’energia per l’investitore
(8)   Il Giornale, 17 gennaio 2012
(9)   Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’Energia
(10) Ahi serva Italia, Paolo Syolos Labini

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Emanuele Mazzaglia

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